Silvi

Caratteristico borgo medioevale ada giato su un colle di 243 m s.l.m. che domina le vallate del torrente Cerrano e del fosso Concio, Silvi Paese offre un belvedere con una vista mozzafiato sull’Adriatico da Ancona alle isole Tremiti, e sul Gran Sasso. Il borgo nascque nell’Alto Medioevo, e venne fondato da un gruppo di pescatori che si spostano dal villaggio costiero “Macrinum” o “Silva” nell’età Romana, nella odierna Silvi marina, sul colle che venne definito come un promontorio che si tuffa sul mare. Interessanti da visitare sono le sue antiche chiese, in particolare la Chiesa di San Salvatore, costruita verso nel 1100 in onore del primo protettore di Silvi. La Chiesa di San Rocco, costruita nel XVI secolo come cappella rurale, oggi invece inserita nell’espansione otto-novecentesca, non molto lontano dalla chiesa di San Salvatore e la Cappella della Madonna dello Splendore, lungo la strada panoramica che da Silvi Marina conduce a Silvi Paes. La data di costruzione è incerta, comunque fu elevata sul punto in cui (dice la leggenda) nel 1566 San Leone, con una torcia in mano, incontrò i Turchi e li fece desistere dall’attaccare il borgo.

 

IL DUCATO DI ATRI

Duomo di Atri

Atri Chiostro

Incantevole città d’arte a ridosso della costa teramana, Atri ha origini antichissime (VII-V secolo a. C.). Fu un’importante colonia in epoca romana, subì invasioni barbariche e dominazioni straniere durante il Medioevo, per poi “rinascere” definitivamente sotto il controllo dei signori d’Acquaviva.

Ed è nel centro della cittadina che il fascino di questa lunga storia continua a rivelare ancora oggi la sua forza evocativa. Monumenti e palazzi storici, chiese, musei, scorci suggestivi, sono questi i tanti tasselli dello splendido mosaico che Atri offre ai suoi numerosi visitatori.

Sicuramente da visitare la Cattedrale di Santa Maria Assunta risalente al 1285 e recentemente restaurata. Il museo annesso,che conserva preziose reliquie, tra cui maioliche dipinte, croci e pastorali d’avorio e d’argento, codici miniati, statue e centinaia di frammenti e mosaici delle costruzioni più antiche. Il Palazzo vescovile ed il Seminario appartenenti al tardo Cinquecento. Il Magnifico teatro comunale perfettamente conservato, l’ottocentesco Teatro comunale. Il Teatro, detto anche la “bomboniera” per le sue dimensioni (300 posti) e l’invidiabile acustica, ricalca all’esterno il Teatro della “Scala” di Milano, mentre l’interno sembra rifarsi al “S. Carlo” di Napoli, nei suoi tre ordini di palchi e loggione.

Maestoso è inoltre il Palazzo Ducale degli Acquaviva, attuale sede del comune. E’ una sorta di fortezza tutta in pietra, edificata nella prima metà del Trecento e rimaneggiata nel ‘700. La facciata nasconde un cortile rinascimentale circondato da un loggiato con iscrizioni e resti romani.

Tra arte e natura, il paesaggio delle colline atriane affascina per la spettacolare presenza dei Calanchi, vere e proprie “sculture naturali” nate dalla millenaria erosione del terreno argilloso. Il panorama assume toni e colori da “bolgia” dantesca, lo scenario si fa severo, quasi “lunare”, sovrastato dall’imponente architettura disegnata da queste formazioni geologiche.

 

CASTELLI – La città delle Maioliche 

Castelli sorge ai piedi del Gran Sasso a 500 m. s.l.m., in posizione apicale alla vallata del Vomano, è uno dei paesi più antichi e dell’Appennino teramano. Nel periodo romano il paese con tutto il territorio entrò a far parte dell’ager atrianus, in sostanza alle dipendenze di Atri, che in Abruzzo era la città più fedele a Roma. Alla caduta dell’Impero romano d’occidente, come tutte le popolazioni italiane più esposte ai saccheggi e alle invasioni, anche le popolazioni abruzzesi si rifugiarono sulle montagne.
Nel corso del medioevo il paese è politicamente registrato all’interno della contea della famiglia dei de Pagliara. Nel 1340 Castelli, la contea di Pagliara e la Valle Siciliana passarono alle dipendenze della famiglia romana degli Orsini a causa del matrimonio contratto tra la figlia del conte Gualtieri e il barone Napoleone Orsini. Un dominio feudale politicamente contrastato per i riflessi, che le guerre tra Francia e Spagna per la supremazia in Italia, ebbero in Abruzzo e più in generale nel Regno di Napoli. In pochi anni la vallata passò, prima, nelle mani del Conte Francesco Riccardi di Ortona, più vicino al re Ladislao, poi in quelle di Antonello Petrucci dei Conti di Aversa per tornare, poi, col titolo di baronia, nel 1500, nuovamente sotto gli Orsini nella persona Camillo Pardo. Nel 1524 , dopo la definitiva sconfitta francese, gli Orsini perdettero la baronia che andò al duca di Sessa.Nel 1526, Carlo V, oramia riconosciuto l’incontrastato imperatore del sacro romano Impero, dopo averla elevata al rango di marchesato, la concesse, come ricompensa ai servizi resi nella battaglia di Pavia, al generale Ferrante Alarçon y Mendoza e ai suoi eredi. Castelli così entrò a far parte del marchesato della Valle Siciliana e vi restò fino all’eversione della feudalità.
Sotto gli spagnoli castelli si aprì al commercio italiano ed europeo.

LA FORTEZZA DI CIVITELLA DEL TRONTO

Ultimo baluardo dell’impero borbonico, prima dell’unità  D’Italia, la Fortezza di Civitella del Tronto si erge maestosa sopra il promontorio delle città da cui prende il nome. E’ una delle più grandi e importanti opere di ingegneria militare d’Europa caratterizzata da una forma ellittica con un’estensione di 25.000 mq ed una lunghezza di oltre 500 m… La rocca aragonese, sorta su una probabile preesistenza medievale, fu completamente trasformata a partire dal 1564 da Filippo II d’Asburgo – re di Spagna, ordinò la costruzione della Fortezza, una struttura più sicura così come la vediamo oggi. Nel 1734, dalla dominazione degli Asburgo si passò a quella dei Borboni che operarono importanti modifiche alla struttura militare e si opposero valorosamente all’assedio dei francesi nel 1806 e a quello dei piemontesi del 1860/61.

 

SCANNO– Arte, Cultura e Natura

 

Inserita nel Club dei Cento Borghi più belli d’Italia, è senz’altro la regina della Valle del Sagittario, di cui custodisce a Sud l’entrata.

Paesaggio, arte, artigianato, folclore la rendono uno dei paesi montani più visitati in Abruzzo. Scanno è visitata per il suo ambiente, per il suo lago, le sue chiese, i suoi palazzi, le sue strade medioevali e per l’abbigliamento delle sue donne.

Scanno appare al visitatore, appollaiata su uno sperone montuoso, appena lasciato il Lago. La strada dopo due chilometri porta in Piazza Santa Maria della Valle, con la chiesa omonima, dalla bella facciata rinascimentale e con all’interno preziose opere d’arte.

UN CONCENTRATO DI TRADIZIONE E MODERNITÀ, CULTURA E NATURA.

Acque limpide, arenili ampi arricchiti da numerosi e comodi chalet, un’offerta turistica ormai rinomata per l’accoglienza e la qualità dei servizi offerti.

Tutto questo è Silvi, località balneare della costa teramana ai piedi delle colline di Atri e Città Sant’Angelo.

Il paese nasce in epoca romana con i primi insediamenti abitativi, soprattutto costieri, legati all’antichissimo Municipium di Atri. Nei secoli successivi, vicessiutidini politiche e sociali determinarono la migrazione della popolazione verso l’aera collinare, dove fu fondato il borgo medievale di Castrum Silvi, l’attuale Silvi Paese.

Sostenuto da mura ad arco a tutto sesto, il paese ha mantenuto in gran parte il suo assetto urbanistico originario, con un’unica strada centrale dalla quale si sviluppa la fitta rete di viuzze che compone il tessuto cittadino. Sulla piazza principale si affaccia l’antica parrocchiale di San Salvatore, risalente all’XI sec. Degno di nota un affresco trecentesco al suo interno.

Percorrendo le incantevoli vie interne del paese ci si imbatte nel grazioso e curato belvedere. Da qui si apre un panorama incantevole che si estende dal Monte Conero (Marche) alle Isole Tremiti (Puglia).

Per gli amanti dei sapori e del folklore abruzzese, imperdibile la manifestazione estiva “Arti e Mestieri”.

Un vero e proprio viaggio nel tempo che, ogni anno nel mese di luglio, consente di scoprire ed apprezzare le più antiche espressioni della tradizione abruzzese,dall’enogastronomia all’artigianato locale, dal costume agli aspetti più profondi della “cultura materiale”.

LU CIANCIALONE

Una tradizione nata nel XVI secolo, legata alle terribili vicende dei predoni turchi, è quella del “Ciancialone”. Si festeggia l’ultima domenica di maggio nella frazione Silvi Paese (o chiamata anche Belvedere di Silvi) e impegna tutto il paese.

Dopo aver fatto incetta di canne, il giorno della festa i giovani le trascinano fino alla piazza, davanti alla chiesa di S. Salvatore trasportandole sia a spalla che trainando, tra i molti incitamenti da parte dei presenti ai lati della strada.

Giunti in piazza comincia il rituale che consiste nell’assemblare le canne fino a formare un lungo tubo che può arrivare anche a 10 metri di lunghezza e deve essere bilanciato con funi contrapposte, perché ogni sbandamento può essere fatale anche per l’incolumità degli operatori.

Una volta issato e ancorato, un giovane sale in cima e dà fuoco. E attorno a questa pira fiammante, la folla baldanzosa si scatena cantando e ballando, fino a quando il falò detto lu ciancialone non si è completamente spento.

Un rito, questo, che affonda le sue radici nel XIV secolo. Una leggenda narra che all’epoca i Turchi sbarcarono nel porticciolo del Cerrano (l’antico porto di Atri e Silvi) e, dopo avere saccheggiato tutto quello che di utile c’era, si diressero verso la città Silvi.

Mentre la popolazione si preparava a difendersi, si narra di un giovane, di nome Leone scese, che scese dalla collina con una fiaccola in mano e li affrontò. Più correva e più la fiaccola emanava una luce sempre più intensa ed incandescente, tanto che gli invasori credettero che un intero esercito fosse lì ad aspettarli. Per paura di perdere il bottino già conquistato, si ritirarono.

Perciò una volta scongiurato il pericolo tutta la città festeggiò il coraggio del giovane Leone, proclamandolo eroe cittadino.

Ma, oltre ad essere simbolo della cacciata dei Turchi e oltre ad evocare il coraggio del leggendario Leone, lu ciancialone è anche un fuoco solstiziale e propiziatorio che si lega ai riti di purificazione praticati nelle campagne e davanti alle chiese per ballarvi intorno.

Un rituale, quello praticato dai contadini, che basandosi sull’identificazione del sole con Dio, mirava a celebrare i ritmi vitali della natura in stretto contatto con i mutamenti della potenza solare, e a pregare Dio che proteggesse la raccolta, la semina e le attività agrarie.